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Trucioli di storia, Magenta

"San Biagio..."

"Il 3 febbraio è San Biagio e, come tutti gli anni, entro nella chiesetta delle Suore Canossiane per baciare la reliquia sperando che mi protegga dai mali della gola...".

"Il 3 febbraio è San Biagio e, come tutti gli anni, entro nella chiesetta delle Suore Canossiane per baciare la reliquia sperando che mi protegga dai mali della gola. Ogni volta che entro in questa chiesetta sorrido al pensiero della mia paura, da bambino quando ci andavo accompagnato dalla mamma... Ogni anno, in effetti, quando arrivava questo giorno lo vivevo con ansia, sapevo che mia mamma mi avrebbe accompagnato in questa chiesetta e il pensiero di quella visita non mi piaceva affatto. Non che non fossi credente, anzi, gli insegnamenti cristiani erano ben radicati in famiglia e li vivevo con naturalezza e convinzione ma al suo interno c’era, e c’è tutt’ora, un quadro che mi “terrorizzava”. Questo quadro raffigurava San Biagio mentre veniva martirizzato privandolo della pelle con un rastrello. Un quadro scuro, brutale, difficile da capire con l’animo ingenuo di un bambino. E se già il quadro era pauroso, la storia che mi veniva raccontata lo era ancor di più: il sapere che il rastrello, un attrezzo che usavo quotidianamente, era capace di tanto male mi terrorizzava. Entravo in chiesa quasi ad occhi chiusi, non guardando mai dalla parte del quadro, ma c’era sempre qualche anima pia che magnanimamente mi voleva insegnare la sua storia e me la raccontava con fervore. Io, ovviamente, dovevo fare il grande e non dovevo far trapelare la mia paura. Per “sopravvivenza”, nel corso degli anni, avevo escogitato un trucco per farmela passare: ascoltare distrattamente la storia, cercare di guardare il meno possibile il quadro e soprattutto pensare alla succulenta trippa che mi aspettava a mezzogiorno. Adesso il quadro lo guardo senza paura ma ammetto che ancora oggi trasmette una certa inquietudine... quindi che fare? Il rimedio è ancora quello: andare a mangiare la tradizionale trippa che fa passare ogni paura!" (Nonno Giuseppe, Magenta primi anni '60)

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