Ma questo antico detto popolare, da dove trae origine? E perchè in questi giorni le temperature sono quasi primaverili da noi in pianura?
C'era una volta... i 'giorni della merla'. Perchè, stando alle temperature di oggi, e l'inverno mite che stiamo vivendo, sembra davvero così lontana la tradizione. Ma questo antico detto popolare, da dove trae origine? E perchè in questi giorni le temperature sono quasi primaverili da noi in pianura?
La tradizione
Secondo la tradizione popolare, infatti, gli ultimi tre giorni di gennaio coincidono con i tre giorni più freddi dell'inverno. Il 29, il 30 e il 31 del mese di gennaio sono denominati 'Giorni della Merla', secondo leggende che si perdono nell'onda del tempo. Storielle che hanno infinite varianti da posto a posto. Una cosa è però comune a tutte: la data.
La leggenda più nota ha come protagonista una famiglia di merli, che un tempo erano bianchi, giunta a Milano sul finire dell'estate, che aveva il nido su di un alto albero situato nel cortile di un palazzo vicino a Porta Nuova. Al giungere dell'inverno, aveva trovato rifugio sotto una gronda, al riparo della neve che quell'anno era particolarmente abbondante. In particolare, il gelo di quei giorni, di fine gennaio, rendeva difficile lo sfamarsi. Il merlo volava da mattina a sera cercando qualche briciola nei giardini, cortili e balconi vicini, ma la neve aveva ricoperto tutto. Decise allora di volare più lontano per cercare un rifugio per la sua famiglia, dove il clima era più mite. Dato che continuava a nevicare, la merla, per proteggere i piccoli intirizziti dal freddo, spostò il nido su di un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po' di tepore.
Tre giorni durò il freddo e tre giorni stette via il merlo. Quando ritornò, fece fatica a riconoscere la merla e i figlioletti perché erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. Nel primo giorno di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale, compreso il merlo che si era scurito anche lui a contatto della fuliggine.
Da allora i merli nacquero tutti neri.
Un'altra curiosa particolarità è quella che, sempre secondo la tradizione, se i 'Giorni della Merla' sono freddi, la primavera sarà bella, se sono caldi la primavera arriverà più tardi.
Il clima attuale (di Marcello Mazzoleni)
In estrema sintesi, ogni volta che una massa d'aria si trova a scavalcare una catena montuosa, ne risale le pendici generando precipitazioni e raffreddandosi secondo un gradiente umido di poco più di mezzo grado ogni cento metri di quota. Sui versanti esteri delle Alpi e zone italiane di confine non a caso nelle ultime ore ci sono state abbondanti nevicate e continueranno per tutta la giornata odierna. Una volta valicata la catena montuosa, ne ridiscende le pendici povera di umidità, avendola persa tutta sul versante che aveva risalito, e si riscalda secondo un gradiente secco di circa un grado ogni cento metri di quota. Fatti quattro conti, e ipotizzando un'altezza media delle Alpi di circa tremila metri, tra i due versanti, a parità di quota e nei bassi strati, la stessa massa d'aria avrà una dozzina di gradi di differenza, per il solo fatto di aver valicato le montagne ed essersi comportata come ci spiegano le leggi della fisica.
Spesso, erroneamente, si parla di vento di fohen quando in realtà è semplicemente un effetto di riscaldamento associato ad un vento, tant'è che spesso la ventilazione collegata a questo fenomeno fisico è soltanto appena accennata, come accadrà ad esempio proprio oggi. Il nome deriva dal verbo latino faveo, che significa "far crescere, prosperare, proteggere" appunto perché sin dall'antichità era un fenomeno benedetto dalle popolazioni in quanto portava anche in pieno inverno piacevoli momenti di tepore, utili a tutelare la natura ed è stato cantato più volte anche da Virgilio e da Lucrezio. È proprio il favonio, che ha permesso gli insediamenti umani anche sulle Alpi, dato che, a seconda delle configurazioni, si presenta su entrambi i versanti della catena montuosa, allentando per qualche ora i rigori dell'inverno.
Ricordo che l'aria, in condizioni di favonio, è sì più mite nel versante sottovento delle Alpi, ma è soprattutto molto secca, con punti di rugiada che in quota possono scendere sin sui trenta o quaranta gradi sotto lo zero, rendendo marmorea la neve in quota, anche quando il termometro indica valori di diversi gradi positivi, come spiegavo nei giorni scorsi, tant'è che la neve, il ghiaccio e la brina presenti nei luoghi in ombra non si sciolgono. Inoltre, ricordo che il favonio è presente ovunque ci sia una catena montuosa e nei testi internazionali di fisica dell'atmosfera viene spesso citato proprio l'esempio alpino, insieme a quello pirenaico e appenninico, dove localmente prende il nome di garbino.
Le temperature, sotto effetto favonico, possono raggiungere valori davvero significativi in relazione al periodo, anche nelle ore serali e notturne, essendo un fenomeno legato ad una precisa legge fisica e totalmente indipendente dall'irraggiamento solare. Qui a Magenta, negli ultimi trentacinque anni, i record invernali mese per mese sono i seguenti e saranno ben lontani dai valori odierni: 23 dicembre 1984 con 22.5°C, 19 gennaio 2007 con 25.2°C e 15 febbraio 1990 con 27.2°C. Il valore invernale più alto documentato qui in zona risale invece a fine gennaio del 1879, con 30 gradi di massima a Busto Garolfo, registrati durante i lavori di escavazione del canale Villoresi. Anche a fine gennaio del 1944 al Campo della Promessa nei pressi di Malpensa durante le esercitazioni della seconda guerra mondiale è stato misurato un valore diurno di 29 gradi: in entrambi i casi si tratta di temperature con tempi di ritorno di quasi un secolo e dunque davvero eccezionali.
Ne ho parlato oggi, proprio perché siamo in una situazione favonica, con temperature massime che si potranno spingere sin sui dodici/quindici gradi, valori tipici anche in pieno inverno con queste condizioni atmosferiche, mentre le minime sono state attorno o inferiori allo zero. Invito tra l'altro oggi a guardare verso le Alpi gli ammassi nuvolosi ad esse addossati, ovvero il cosiddetto "muro del fohen", che demarca nettamente le zone con precipitazioni nevose da quelle con cielo terso.