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Exponiamoci

La fotografia come racconto

La storia di Monika Bulaj, fotografa e giornalista di nazionalità polacca: "In lei non è mai cambiata la forma di stupore nei confronti della vita e del mondo".

Ha nella voce la consapevolezza di una donna che affronta la vita, e le storie che essa regala, in punta di piedi, approcciano alla curiosità un istinto elegante. Monika Bulaj, fotografa e giornalista polacca, ha sempre rincorso il suo sogno e dovere: raccontare attraverso la fotografia. Mezzo e passione che l’ha portata a toccare con mano situazioni ed emozioni che hanno scolpito il suo carattere. In lei non è mai cambiata la forma di stupore nei confronti della vita e del mondo. Oggi molto più attenta ai dettagli, Monika delinea traiettorie di pensiero che riesce ad esprimere con maestria nei suoi scatti. La passione per la fotografia nasce quando Monika è ancora ragazza, dal bisogno di raccontare. Raccontare la Polonia e i territori non scoperti. Raccogliendo le testimonianze e i dettagli di ciò che la circondava, ha saputo dar voce alle storie di gente comune del proprio paese. Esercizio che la accompagna ancora oggi nei reportage che realizza in tutto il mondo. In memoria del suo paese, il desiderio di raccontare il silenzio e l’orrore diventa parte integrante del suo linguaggio, una missione che diviene filosofia di vita cercando di dare voce agli esclusi, agli ultimi. Ecco un altro esempio di come la fotografia si erge a mezzo, a strumento di narrazione, perdendo la sua intenzione di essere fine a se stessa. È sulla sorta di queste parole che decade l’importanza della tecnica e della composizione, e quel rettangolo di luce, fatto di amore e dedizione, diventa un’immagine utile. Il suo obiettivo è quello di far conoscere. Donare voce a chi, nel mondo, gli è stata sottratta. Si emoziona ancora, Monika, si percepisce nella cadenza delle sue parole e nelle pause che si prende durante la chiacchierata. Cerca di scavare nel suo passato, nella sua coscienza. Racconta di cercare, attraverso la fotografia, di congelare e diffondere musica, ritmo e profumi. Dopotutto è la caratteristica che distingue una fotografia da un’opera. Non solo la semplice e dura realtà, ma la vita filtrata dai suoi occhi, dalla sua educazione. L’infinità di immagini che il reale dona, a chi le sa cogliere, sono oggi fatte di luce che viene riaccordata a distanza di tempo dallo scatto. Con un occhio più esperto. Con la consapevolezza di chi ha vissuto e palpato una storia. Sporcandosi le mani. Racconta di entrare in contatto con se stessa quando scatta, di non pensare, di agire d’istinto, di uscire dalla quotidianità. È una fotografa onnivora, Monika. Si nutre di tutto ciò che riguarda il suo progetto di vita, che sfocia nella mania e nel desiderio di dar voce agli esclusi, alla gente di serie b. Non ha un progetto preciso, dunque non vi è mai un inizio né una fine. Si tratta del continuo flusso di pensieri e bisogni che la spingono a partire cercando di vivere e incontrare delle realtà che la sappiano nutrire e dare una risposta alla domanda che si pone da ormai trent’anni. Attualmente sta lavorando su un progetto, sostenuto dall’associazione Pulitzer, che riguarda un viaggio in Asia centrale attraverso la riscoperta di scritti antichi. Questo progetto le permette di lavorare ancora una volta sulle memorie e sulla riscoperta di dettagli che fino ad oggi sono stati invisibili. Ma come ogni suo progetto, non avrà mai fine. Neppure quando diventerà un libro. Guardandosi alla spalle ricorda il vissuto, la gente che vive nelle istantanee e nelle storie contenute nel suo archivio e nel suo cuore.

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