Risalire alle origini di questo dolce non è stato facile: i ricordi dei nonni sono già vaghi e abbiamo dovuto ricorrere ai ricordi dei pochi bisnonni ancora attivi.
Risalire alle origini di questo dolce non è stato facile: i ricordi dei nonni sono già vaghi e abbiamo dovuto ricorrere ai ricordi dei pochi bisnonni ancora attivi. Questo dolce infatti si cucinava fino alla fine degli anni ‘40, dopodichè con l’avvento delle cucine moderne e con la possibilità di poter acquistare il pane già fatto dai fornai è andato perdendosi. Il nome originale era “Brüsavéla”, ma il dialetto Cuggionese in moltissime parole sopprime le lettere 'R' e 'V' ed era quindi comunemente chiamata “Brüsaéla”. La parola riuniva due vocaboli: 'brüsà', bruciato cioè cotto, dorato, e “vélà” velata, il velo dello zucchero e del burro sciolto sulla superficie. Questo dolce era la versione festiva della più modesta “carsenza”, infatti mentre la carsenza era la semplice pasta del pane con la sola aggiunta di uvetta passa e fichi, la brüsaéla prevedeva anche l’aggiunta di burro e zucchero: diventava quindi un dolce più ricco. Sul finire degli anni ‘40, quando cominciava ad esserci più abbondanza di cibo, qualcuno aggiungeva, se ne aveva disponibilità nel proprio orto o cortile, qualche altro frutto maturo, mele o uva americana ad esempio, ma questo era già visto come arricchimento della ricetta originale. La si faceva insieme al pane, le donne nel suddividere l’impasto in pagnotte riservavano un pezzo di pasta per arricchirla di uvetta, fichi, zucchero e burro. Il pane veniva fatto in casa da ogni famiglia e una volta lievitato lo si poneva nella “marnéta” e lo si portava dal fornaio per la cottura, non prima però di aver apposto un segno su ogni pagnotta per poterla riconoscere una volta cotta. A fine cottura del pane col forno spento ma ancora caldissimo si infornava la Büsaéla che in poco tempo cuoceva. (Trucioli di Storia. Insieme ai tanti nonni cuggionesi)