Venerdì 7 maggio 1824. Si prepara la scena. La 'nona' è alle porte. La città di Vienna come cornice. Nella meravigliosa atmosfera del Teatro di Porta Carinzia.
Venerdì 7 maggio 1824. Si prepara la scena. La 'nona' è alle porte. Vienna. Nella meravigliosa atmosfera del Teatro di Porta Carinzia. Caroline Unger e il tenore Anton Haizinger sono concentrati. Ancora un istante e il capolavoro di Ludwig Van Beethoven potrà emergere dallo stomaco degli ottoni presenti nell’orchestra. La Sinfonia n° 9. Un inno allo scavare nell’interiorità dell’uomo attraverso cambi di andatura e tempi contrastanti. In disaccordo con l’anima, la musica entra nei ventri passando attraverso i bronchi. Quieta e sconquassa i nervi, in un rimbalzo molto vivace donato dal re minore. Ha il sapore di cera antica, quella colata dai candelabri in piena notte, quando si sono dimenticate accese le candele. Il sapore emerge dall’orchestra. Beethoven sa di follia. Di spalle. Come una persona che quasi stenta a rivolgere un saluto. Gli occhi profondi. Di uno che delinea traiettorie ben impostate sul pentagramma. Attraverso le note musicali dona in pasto lo spirito ad un vortice di scaglie di selce. Lo si intravede nella fantasia dei dipinti, nell’interpretazione del caos degli archi. Caos in quanto catarsi che permette all’uomo di vagare attraverso i suoi sogni e cavalcare il desiderio attraverso un’opera d’arte. “Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza”. Le sue parole creano il filo conduttore e parafrasano il messaggio. Netto. Deciso. Di qualcosa e di qualcuno che non respirerà a lungo. Si percepiscono le voci piene che si ergono a mezzo d’espressione. Un tedesco studiato e velato da una malinconia che abbraccia dolci timbri di contrabbasso. Delicato. Nonostante il ritmo. “Gioia si chiama la forte molla che sta nella natura eterna. Gioia, gioia aziona le ruote nel grande meccanismo del mondo. Essa attrae fuori i fiori dalle gemme, gli astri dal firmamento, conduce le stelle nello spazio, che il cannocchiale dell’osservatore non vede”.