Leggere, studiare, inoltrarsi nelle storie e farle nostre... è forse questo il motivo che ci spinge a sognare? Passeggiare, nelle notti d’inverno, quando il sogno entra a far parte del reale e il concreto viene ricoperto da un sottile strato di nebbia. La umida e fredda bava bianca che veste di grazia il paesino ormai vuoto di gente. San Pietroburgo sorge lontano da qui, a circa duemilasettecento chilometri, quasi trenta ore di auto; a piedi, una distanza infinita. Ma attraverso la fantasia tutto riesce ad essere più vicino. Uscendo dalla solitudine di una tana - come Dostoevskij nel suo celebre romanzo ‘Le notti bianche’ - mi incammino per le vie apparentemente spente di suoni e di quotidiano. Riscoprirsi attraverso il leggero strascichio di pantaloni sull’asfalto freddo, un guardarsi dentro fatto di immagini passate attraverso un luogo caro, vissuto sempre alla luce del sole, quando i locali sono aperti e il vociferare della gente dona calore all’anima. Il sole qui, a differenza del noto romanzo russo, tramonta presto e la notte, compagna e amica, cela subito le sue voglie. Voglie fatte di memoria, di lampioni che illuminano per poco, di case diroccate e muri vissuti, di finestre semiaperte per permettere all’aria di compiere il suo dovere. Poi, guardarsi dentro, scandendo un ritmo regolare di passi, fermarsi e fare una fotografia. Nasten’ka è solo un miraggio, un’illusione fatta di echi sguaiati, ma dona la forza di sbilanciarsi e continuare il cammino. Dopotutto, quel che si cerca nel sogno è forse e solamente “un intero attimo di beatitudine”.