Un vicino scomodo che l'Europa ancora non vede...
Per coloro i quali ancora si illudevano di vedere una Cina sulla via dell’occidentalizzazione e dell’apertura verso i diritti, ecco la pietra tombale: Xi Jinping, leader del partito comunista di Pechino, ha ufficialmente ottenuto l’assenso del parlamento all’abolizione della forse unica legge che in Cina poteva garantire un minimo di alternanza “democratica” al governo. Eliminato qualunque riferimento al limite dei due mandati quinquennali, Xi, ormai possiamo dirlo, si è assicurato il potere a vita. Una mossa dal valore enorme sullo scacchiere internazionale, ma che non ha destato sufficiente scalpore. È passata in sordina, qualcuno l’ha raccontata sottovoce, ma nessuno ha avuto l’intelligenza di usare la parola dittatura. Eppure è così. La repressione delle libertà in Cina è in costante ascesa in ogni ambito da quando Xi detiene il potere. Il sapere, la linfa di un popolo vero, è inquinato alle radici, le informazioni sono limitate e strumentalizzate e internet è come se non ci fosse, solo per citare uno dei diritti più importanti: quello della e all’informazione. E in tutto ciò risulta quantomeno pavido l’atteggiamento della comunità e della stampa europea, che è solita cogliere ogni occasione per sbandierare l’importanza dei diritti umani, la necessità di una democratizzazione dei processi politici e fare da maestrina a tutti. Continuare a dipingere Xi come una guida positiva, salvo poi prendere lezioni di liberalismo e apertura politica a Davos, dallo stesso che solo 3 mesi dopo ha fatto carta straccia di ogni parola scritta e pronunciata tra le alpi svizzere. E non dimentichiamo i calli alle mani che ci siamo fatti venire nell’applaudirlo. Qual è il senso? Nell’abbandonare la retorica che circonda la questione e guardando le cose come sono, eccoci, allora, a dire che Xi è sulla strada di Mao e che è un dittatore e un liberticida. E per fortuna che qui lo possiamo dire. Non facciamoci ingannare da quel viso quasi simpatico alla Winnie the Pooh, in primis perché guai se ci sentissero a Pechino (è censurato) e in secondo luogo, perché, solo per fare un esempio, seppur non ci siano dati ufficiali, Amnesty International posiziona la Cina al primo posto della classifica di morti per condanna… e Winnie non era così brutale.