Al Memoriale della Shoah di Milano, Liliana Segre, deportata ad Auschwitz insieme al padre e ad altre centinaia di persone. "E' dall'indifferenza che comincia tutto".
Al piano inferiore rispetto ai binari ferroviari ordinari della Stazione Centrale di Milano, di cui si ha la percezione dalle vibrazioni e dal rumore attutito ma distinto dello sferragliare dei treni, forse non tutti sanno che c’è un luogo di Memoria e incontro, o non lo hanno ancora visitato: il Memoriale della Shoah, che sarà terminato nella sua installazione, grazie al supporto delle istituzioni, entro i primi mesi del 2019. Era il 30 gennaio del 1944 quando Liliana Segre, allora tredicenne, venne deportata ad Auschwitz insieme al padre e ad altre centinaia di persone. “Quel giorno le persone vennero portate qui – racconta Liliana martedì 30 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, nell’80esimo dalla promulgazione delle leggi razziali, in una commemorazione al Memoriale della Shoah, organizzata insieme alla Comunità Sant’Egidio – attraversando su camion una città silente, muta, la Milano indifferente, che non aveva scelto, se non pochissimi eroi coraggiosi. E, come gregge condotto al macello, bastonate, umiliate e offese, furono spinte e stipate su vagoni, sprangati, piombati, e avviate verso destinazione ignota”. Dei 605 che partirono sul ‘convoglio 6’, solo 22 tornarono indietro. Ventuno in totale i convogli, carichi di ebrei e deportati politici che arrivavano alla Stazione dal carcere di San Vittore, partiti dal binario 21, quel binario sotterraneo, che, attraverso un elevatore, permetteva di salire al piano superiore. Ricorda i fischi, i latrati, le botte, la violenza assoluta e un luogo difficile da localizzare con precisione. Un luogo che oggi ha preso forma, e accoglie chi viene qui con una parola, scolpita nella pietra a caratteri cubitali: Indifferenza. “L’indifferenza fu terribile allora ed è tremenda anche adesso”. “Mi hanno chiesto cosa penso del rigurgito di antisemitismo e razzismo di oggi. Lo trovo osceno: mi viene questo aggettivo come l’unico adatto. La verità è che da subito dopo la guerra, dopo quello che era successo, lo sterminio di 6 milioni di bambini, neonati, uomini, donne, vecchi, vecchissime persone portate a morire là per la colpa di esser nate, non era passato il nazismo, il fascismo, il razzismo. Covavano sotto la cenere, la cenere che avrebbe dovuto esser simbolo di chi era passato per il camino, invece era la cenere dell’indifferenza, dell’odio mai passato. Il tempo passa… tutto passa. E ci furono altre stragi, altri genocidi, diventati una riga in un libro di storia. Oggi - spiega Segre - l’indifferenza che allora fu causa della Shoah colpisce coloro che cercano rifugio nel nostro Paese”. Roberto Jarach, vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano, racconta: “Ci siamo chiesti che cosa potevamo fare. La scritta all’ingresso ci ha guidato e ispirato”. Da qui la decisione, nel 2015, di trasformare il luogo sotterraneo della Stazione Centrale, da cui nel 1943-44 partirono i convogli per i lager, nello spazio della Solidarietà. Per non voltare lo sguardo da un’altra parte, secondo il monito ‘Indifferenza’, si è deciso di ospitare in due anni oltre 7.500 profughi provenienti da 26 Paesi diversi, tra cui famiglie siriane in fuga dalla guerra e molti giovani eritrei oppressi dal servizio militare a vita, nuova forma di schiavitù. Significativo segno di un luogo che intreccia il suo passato e il suo presente, che ha scelto di non essere vinto dalla violenza inaudita di quei giorni e che, grazie ai volontari, ebrei, cristiani, musulmani, senza distinzione, ha deciso di accogliere e aiutare chi si trova in difficoltà. Liliana Segre è una dei pochi sopravvissuti ad Auschwitz, da poco scelta “non me come me che non son nessuno, ma come simbolo di tutto quanto era avvenuto per colpa del nazismo, fascismo, razzismo”, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il titolo di senatrice a vita, baluardo perenne contro le insidie velenose dell’intolleranza. Le chiesero la sua impressione e i suoi pensieri quando fu portata a visitare il Senato. “Anche se ho 87 anni io sono sempre quella bambina scacciata dalla scuola pubblica di via Ruffini, l’unica della scuola espulsa. Mi rivedo passare da quella via: la scuola per me era chiusa... Mi ha fatto un certo effetto entrare ora dalla porta aperta del Senato”. Non dimentichiamo... “Indifferenza: è da questa parola che tutto comincia, gli orrori di ieri, di oggi e di domani, perché quando credi che una cosa non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”.