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Il Libano è sempre vittima di bullismo?

Il 4 novembre, Saad Hariri ha rassegnato le dimissioni da Primo Ministro del Libano. Il modus operandi è stato singolare perché, invece di comunicare la decisione direttamente al Presidente della Repubblica Michel Aoun, il premier dimissionario ha registrato un video a Riyadh, esprimendo timori sulla sua incolumità personale messa a rischio, a suo dire, dall’Iran e da Hezbollah. Il gesto cristallizza da un lato l’attivismo crescente dell’Arabia Saudita, dall’altro la differenza, dovuta anche al mutato contesto regionale, tra Saad e suo padre Rafiq. Quest’ultimo, fondatore del Tayyar al-Mustaqbal (movimento Futuro), è stato infatti ben attento a non legare a doppio filo il movimento e la sua azione di governo a qualsiasi potenza dell’area; nonostante gran parte del suo elettorato sia sunnita, Rafiq è convinto che il suo partito possa avere l’ambizione di rappresentare non un solo gruppo religioso (e di interesse) e uno dei suoi obiettivi principali è stato cercare di restituire piena autonomia decisionale all’esecutivo libanese. Entrato in rotta di collisione con la Siria, Rafiq Hariri è stato ucciso il 14 febbraio del 2005. Anche se non sono state accertate le responsabilità dirette della classe dirigente siriana, l’attentato fa esplodere l’insoddisfazione della quasi totalità dei libanesi verso l’invadenza straniera nella vita del paese. Numerose manifestazioni di piazza- pacifiche- portano all’estromissione siriana dal Libano, forse più formale che sostanziale.
Le aspirazioni di Hariri padre sono un tentativo di superare il pluralismo sunnita, cercando di inserire il partito nella realtà nazionale, limitando le tendenze settarie. Il tentativo è fallito con la sua morte, anche perché la sua leadership carismatica è difficile da sostituire. D’altra parte, il sistema istituzionale libanese, basato su criteri di ripartizione confessionale delle cariche e ufficialmente esistente dal 1989, non aiuta certamente a rendere incisiva l’azione di qualsiasi governo. Le diverse comunità hanno mantenuto un buon grado di autonomia dallo Stato per la sua scarsa presenza in alcune aree del paese, specialmente nel sud; proprio l’assenza di una forte autorità centrale rende la partecipazione dei numerosi gruppi religiosi, garantita costituzionalmente, estremamente autoreferenziale. Se negli altri paesi mediorientali, prima del 2011, gli organismi statali hanno esercitato un forte controllo sulla popolazione (tramite anche l’uso della coercizione), in Libano accade puntualmente il contrario. Negli ultimi anni, tutti i protagonisti politici libanesi hanno però dimostrato prudenza sedando le tensioni politiche; il governo di unità nazionale, guidato appunto da Saad Hariri, è stato formato dopo un lungo periodo di stallo istituzionale, la cui la manifestazione plastica è stata la mancata elezione del Presidente della Repubblica. Una volta nominato Presidente, Michel Aoun non ha mai mostrato un atteggiamento ostile nei confronti di Hezbollah, movimento attivo anche nella guerra civile siriana a sostegno degli Assad. Il partito e soprattutto il suo alleato Iran sono i veri bersagli delle dimissioni di Hariri, sicuramente avallate dai sauditi. Nella politica mediorientale vale il seguente assunto: quello che accade in un territorio ha ripercussioni sugli altri Stati. I partiti politici libanesi sono alla continua ricerca di alleati fuori dai confini per mantenere il proprio “peso specifico” in patria. I problemi sorgono però quando i “padrini” dei rispettivi gruppi sono in contrasto tra loro. L’attuale crisi non è pertanto da sottovalutare.

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