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Catalogna... che succede?

Nella mattinata di martedì 3 ottobre, si respirava un’aria di attesa: per lo sciopero generale che si è svolto a Barcellona, per le mosse del Parlamento catalano e per l’esito delle consultazioni tra Mariano Rajoy e i principali partiti politici spagnoli. In serata, il re Felipe ha aspramente criticato la condotta delle autorità catalane, responsabile di aver violato «i principi democratici dello stato di diritto» non rispettando la Costituzione spagnola e creando una profonda lacerazione all’interno della società.
Il voto del 1° ottobre ha provocato una scossa nelle istituzioni iberiche. La Catalogna è già stata dotata di ampi margini di autonomia sin dal 2006. Il recentissimo referendum, nella formulazione del quesito, contrasta con la Costituzione del 1978 che sancisce, tra i suoi principi, «l’indissolubile unità della Nazione spagnola». Per tale ragione, la consultazione era stata dichiarata non valida dal Tribunale Costituzionale di Madrid; il Parlamento catalano, di rimando, aveva approvato a inizio settembre una legge che avrebbe permesso, in caso di vittoria del sì, di proclamare l’indipendenza entro i due giorni successivi al voto. Tuttavia, il Presidente catalano Puigdemont ha assunto ora una linea più morbida, con l’auspicio, esplicitamente dichiarato, di avviare una mediazione e, a tal fine, il governo catalano ha contattato l’Arcivescovado di Barcellona. La stessa speranza di poter cercare un’intesa tra le parti è stata espressa dai socialisti spagnoli, mentre i conservatori chiedono l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che eliminerebbe ogni traccia di autonomia della regione catalana. Dal 2015, inoltre, il premier spagnolo, tramite decreto reale e senza dibattito nel Parlamento nazionale, può assumere pieni poteri per fronteggiare contingenze politiche gravi ed emergenziali. Dato il clima delle ultime settimane, il provvedimento non farebbe altro che esacerbare gli animi, allontanando possibili compromessi. Tra le cause infatti che hanno spinto la Catalogna a opporsi nettamente al governo centrale, quelle di natura economica-amministrativa sono state predominanti; fermo restando che la distribuzione di denaro pubblico a livello locale è praticamente ineguale in ogni paese, le istanze secessioniste hanno avuto successo perché i cittadini catalani versano più tasse al governo centrale di quanti trasferimenti ricevano. Tra i valori simbolici, comunque importanti per dare forma a una richiesta politica, si annovera il diritto di autodeterminazione dei popoli che però non ha, in questo caso, una forte validità, non essendo la Catalogna soggetta a una dominazione coloniale, occupata da un esercito straniero o ininfluente nell’esercizio effettivo del potere di governo. D’altra parte, la volontà di giungere a un accomodamento tra le parti è stata scarsa in questi ultimi mesi; l’immagine a dir poco negativa passata dalle Forze dell’Ordine spagnole nei media internazionali, la rigidità di Rajoy nel commentare il risultato elettorale (presa di posizione sacrosanta, se letta da un punto di vista puramente legale, ma totalmente miope), le irregolarità del voto, l’Unione Europea cha lancia moniti proprio perché non ne può fare a meno, sono la cartina di tornasole di una situazione sfuggita di mano, anche se ampiamente prevedibile.

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