La storia del piccolo Charlie Gard. Una domanda ci viene spontanea: fino a che punto lo Stato e l'uomo possono sostiuirsi al valore della libertà, al volere della natura?
La faccina di Charlie Gard ormai la conosciamo tutti. Avremmo voluto non conoscerla o quantomeno conoscerla in altra maniera, perché avrebbe significato tutt’altro. Ma la vita è così, bellezza prorompente dai lati oscuri. Discutere di questi casi diviene, ora, tanto ingiusto quanto doveroso ed ogni parola pesa quanto un balzo su un filo di lana teso tra due faraglioni. Probabilmente non c’è verità che possa diradare l’offuscato alone di idee, che intorna la vicenda, né tantomeno soluzione ragionevole, ma una domanda sì, quella c’è, e tutti abbiamo il dovere di porcela, anche in virtù del tanto dibattuto ddl sul testamento biologico, che circola nel nostro parlamento: “Fino a che punto lo Stato, garante dell’ordinamento legislativo, e fino a che punto l’uomo può sostituirsi al valore della libertà, al volere della natura, al comando di Dio? È questa la domanda a cui ognuno deve provare a dare risposta, per avere cognizione dell’infinità di sfumature, che una vita in bilico nasconde. Lo stato deve garantire il diritto alla salute dei suoi cittadini, senza mai sfociare nell’accanimento terapeutico, neppure nei casi più irreversibili. Questo, in sostanza, è quello che dice la legge. Ragionamento logico e un tantino cinico, che lascia presupporre un principio ben chiaro: evitare lo sfinimento di una persona, la cui salute è irrimediabilmente deteriorata, al fine di risparmiare sofferenze al paziente, sul quale la natura ha già espresso il suo verdetto, e di garantire spazio e possibilità di cure a chi una chance di vita ancora ce l’ha. Ma se su questo principio le obiezioni possono venire meno, è nel momento in cui un organo di Stato decide che è nel “best interest of the child”, nel più alto interesse del bambino, che egli muoia e, anzi, senza possibilità di scelta, debba morire, per evitarsi altri dolori, ecco allora, forse abbiamo varcato un confine molto delicato di cui non abbiamo piena coscienza. La possibilità di un uomo di decretare la morte di un suo pari è un’azione, che si pone ad un livello bioetico tanto elevato, che lascia pensare, forse, ad una presuntuosa deriva, anche scientifica, di aver capito la vita e di aver gli strumenti per gestirla, ma non è così.