Il racconto di Matteo, che sabato sera scorso era a Torino in piazza San Carlo per vedere con alcuni amici la finale di Champions tra la 'sua' Juventus e il Real Madrid.
L’adrenalina, l’emozione e anche un pizzico di tensione. Perché quella non era una serata come tutte le altre; perché poche ore ancora e poi sarebbe cominciata la ‘Partita’ (già, con la P maiuscola). Pronti via, allora, e si va, destinazione Torino e piazza San Carlo, là in mezzo ai tanti, tantissimi tifosi bianconeri. Il grande giorno è arrivato, la finale, anzi la finalissima tra la ‘mia’ e la ‘nostra’ Juve e il Real Madrid e sullo sfondo la mitica coppa dalle grandi orecchie da provare ad alzare. La speranza è tanta, la gioia e la felicità ancora di più; se andrà bene, statene certi festeggeremo fino a notte fonda o alle prime ore della mattinata successiva, se invece purtroppo andrà male, avremo comunque vissuto una bella occasione per stare insieme e tifare. Ci siamo, ormai, dopo un’ora e mezza circa di strada, infatti, eccoci nel capoluogo piemontese: parcheggiamo le auto, indossiamo le maglie dei nostri beniamini e ci dirigiamo a piedi verso la metropolitana, fermandoci prima in un bar per un caffè veloce e per fare rifornimento di bottigliette d’acqua. Ma non c’è tempo da perdere, l’attesa cresce col passare dei minuti, non vediamo l’ora di raggiungere la piazza. Forza dai, prendiamo, dunque, la metro e dopo due sole fermate arriviamo alla stazione di Porta Nuova. L’atmosfera che si respira è bellissima. Ci avviamo verso la piazza tra bandiere, sciarpe, magliette e cori e, mentre si passeggia una cosa che mi ha colpito molto è stato il fatto che non ci fossero solo ragazzi più o meno giovani, ma tantissime famiglie con i propri figli, per non parlare di quelli che tranquillamente avrebbero potuto essere i miei nonni. Passato presente e futuro, tutti insieme, per sostenere la propria squadra. Siamo così in una piazza San Carlo già strapiena, nonostante le 3 ore che ci dividono dal fischio d’inizio; un panino veloce e siamo pronti ad entrare nella folla, prima però i controlli delle forze dell’ordine e poi la serata può cominciare. Tra selfie e qualche video da inviare agli amici, riusciamo a prendere posto più o meno vicino alla statua centrale, ma abbastanza lontani dal maxi schermo. Noto subito, comunque, qualcosa di molto strano. Ogni 5 minuti, infatti, tra di noi si fanno largo delle persone con dei carrellini che trasportano dei grossi contenitori con dentro acqua, ghiaccio e bottiglie di birra in vetro (penso, allora, tra me e me: se mezz’ora prima chi era preposto alla sicurezza ci aveva controllato gli zaini, appunto per verificare che non ci fossero bottiglie di vetro, mi sembra sinceramente un controsenso consetire successivamente la vendita ai presenti; poteva essere pericoloso e anche perché una volta finite, le birre venivano gettate per terra). La serata, intanto, prosegue: i cori, quattro chiacchiere con le persone incontrate e siamo alle 20.45, il fischio d’inizio del match. Purtroppo, però, si vede veramente poco. Io e la mia amica proviamo invano ad alzarci sulle punte o a saltellare, ma niente. Esultiamo al pareggio della Juventus senza aver visto il gol, però va bene così perchè siamo comunque in compagnia e ci stiamo divertendo. Termina il primo tempo e parlando con il gruppo decidiamo di spostarci verso i portici, cercando una migliore posizione per seguire i secondi 45 minuti (questa, lo capiremo più tardi, è stata sicuramente la nostra fortuna). Le squadre, quindi, tornano in campo e dalla nuova posizione riusciamo a seguire meglio l’andamento della sfida. Il secondo tempo, però, sportivamente parlando, è triste: il Real segna il 2 - 1, ancora il 3 - 1, anche se ad un certo punto la finale, le azioni sul terreno di gioco, la quarta rete e la delusione per il risultato passano purtroppo in secondo piano. Un fischio improvviso e fortissimo, seguito da un boato, infatti, scuotono tutti. Nemmeno il tempo di capire cosa sta succedendo che ci troviamo scaraventati da una parte all’altra, schiacciati contro le pareti sotto i portici. La gente urla, è spaventata ed io mi ritrovo per terra. Difficile spiegare i miei primi pensieri; nella testa è un mix di confusione e domande; mi mancava il respiro, avevo paura e volevo solo uscire e mettermi in un posto sicuro. Mi sono fatto forza, dovevo rialzarmi assolutamente, altrimenti non so come sarebbe andata a finire. E così ho fatto: uno dei miei amici e una mia amica sono lì, a terra anche loro, siamo fermi, immobili sotto i portici. Le vie di fuga sono intasate per la tantissima gente che prova a scappare. Iniziamo a guardarci intorno, a fatica trattengo le lacrime. Provo ad avvisare i miei genitori e mio fratello che da casa seguivano la partita , ma le linee telefoniche sono occupate . Davanti a me vedevo genitori per terra che con le braccia sollevate tenevano in alto i loro figli cercando aiuto, altri che in lacrime disperati li avevano persi tra la folla. Sotto i piedi, invece, bottiglie di vetro rotte, sangue ovunque e quando tutto sembra passato, un altro boato, altre urla e la gente che prova nuovamente a scappare da non so cosa. Riusciamo a temporeggiare e restare fermi, fino a che con sei amici (gli altri due non li troviamo più), riusciamo a raggiungere la via di fuga più vicina. Esattamente non sappiamo dove stiamo andando, però pensiamo solo ad allontanarci, iniziando ad avvisare i nostri cari su quanto accaduto. Dopo più di mezz’ora arriviamo alla metro e lì fortunatamente ritroviamo gli altri due ragazzi del gruppo e insieme ci avviamo verso le macchine con l’unica volontà di andarcene via, veloci. Attimi che non dimenticherò mai e vi dico la verità, ho pensato che non so se un giorno mi sarei ripresentato di nuovo ad un evento simile, ma non per paura, perché sono dell’idea che la vita è una sola e va vissuta, bensì perché oggi mi metto nei panni dei miei genitori e penso ai momenti che hanno vissuto davanti alla TV con il telefono in mano cercando di contattarmi. Sarà solo ed esclusivamente per loro.