La voce che si blocca. Una pausa, poi un’altra e un’altra ancora. Perché non è facile parlare. Perché nella testa ci sono le tante immagini viste pochi istanti prima. Perché fino a qualche ora fa Robert Popescu e il figlio Eduard erano là, in quelle terre e in quei posti letteralmente distrutti dal violento terremoto che nella notte tra martedì e mercoledì ha colpito il centro Italia. “Sofferenza, dolore, disperazione. E’ stato qualcosa di tremendo. Gli occhi della gente: occhi pieni di lacrime; i racconti delle persone, di chi aveva perso tutto. Giovani, adulti, anziani e famiglie, ti senti inerme, impotente, cerchi di stare loro vicino, ma vorresti fare molto e molto di più”. Pastore della chiesa evangelica di Magnago e Bienate e presidente dell’associazione “Gesù è la vita”, Robert non ci ha pensato un attimo. Non appena ha saputo quello che era successo, infatti, subito si è attivato per cercare di portare il suo aiuto e il suo sostegno. “Grazie alla solidarietà di tantissime persone (parenti, familiari, amici, conoscenti e cittadini magnaghesi e del territorio) siamo riusciti a raccogliere diversi beni di prima necessità e generi alimentari – spiega – E nella serata di mercoledì io e mio figlio abbiamo preso un furgone, abbiamo caricato tutto il materiale donato e siamo partiti. Volevamo far sentire la nostra vicinanza, volevamo recarci sul posto per cercare di dare anche noi, nel nostro piccolo e per quanto possibile, una mano”. La notte di viaggio, dunque, e nelle prime ore della mattina eccoli allora ad Amatrice. “Abbiamo trovato davvero grande, grandissima solidarietà – continua Popescu – Una volta arrivati ci siamo uniti con alcune delle altre realtà che già stavano operando sul posto. Poi abbiamo girato per il paese e per le comunità attorno, consegnando personalmente tutto ciò che avevamo portato. L’incontro con le persone del luogo è stato qualcosa di straziante. C’era chi aveva deciso di andare via, la paura che potessero esserci nuove scosse era troppo forte, e chi invece era rimasto. Guardava la propria casa che ormai era un cumulo di macerie, ma non voleva abbandonarla. O ancora la disperazione di coloro che avevano perso un familiare, un parente oppure un amico e insieme quanti, non avendo avuto più notizia di un proprio caro, erano in attesa nella speranza che potesse essere ritrovato vivo. Gli abbracci con queste persone, qualcuna che mi ha preso la mano per sentire un po’ di affetto e calore, la stanchezza sui volti. Siamo rimasti lì per l’intera giornata di giovedì, poi siamo ripartiti per tornare a Magnago e Bienate. Ci sono tante persone che vorrebbero andare sul posto a portare il loro aiuto, ma adesso bisogna lasciare lavorare i soccorritori senza essere di intralcio alle operazioni. Noi siamo pronti a tornare quando sarà il momento opportuno, intanto continueremo a dare il nostro sostegno da qui ed è importante che ci sia condivisione e collaborazione da parte di tutti”.