Inveruno apre le porte alla carità, senza paura, senza diffidenza, ma anzi con grande cuore. L’invito della Caritas e delle parrocchie del decanato, per soccorrere i 300 rifugiati che dovranno trovare ospitalità nel nostro territorio, non è caduto nel vuoto. Anzi. Oltre a due alloggi di proprietà della parrocchia, che don Erminio metterà a disposizione per l’iniziativa, anche tre famiglie hanno segnalato la propria volontà di aderire all’idea di affittare i propri appartamenti per ospitare i rifugiati che Caritas indirizzerà nel territorio. “Non vi è ancora nulla di deciso o confermato - ci conferma don Erminio Burbello, parroco di Inveruno - però alcune famiglie ci hanno dimostrato grande disponibilità e generosità. Da sempre le nostre comunità sono molto aperte alla solidarietà, basti pensare a quando si ospitarono i bambini di Chernobyl. L’informazione errata ora ha creato molta paura e titubanza, ma tutti coloro che verranno ospitati sono rifugiati registrati e coordinati da un ente organizzato e ben gestito come Caritas”. Per la parrocchia, le strutture offerte sono un appartamento del ‘Centro Giovanile’ e forse uno della ‘Cascina San Martino’. Intanto, un primo e bellissimo esempio di ospitalità si è già concretizzato con Masamba, giovane di 16 anni fuggito dal Gambia. . “Dal 6 aprile risiede nella casa parrocchiale e noi siamo i suoi tutor”, spiegano Rosaria e Marco Bosetti, poco più che cinquantenni, con il figlio Emanuele, 18 anni. Il progetto della Caritas ‘ProTetto - rifugiato a casa mia’ prevede che, nelle parrocchie dove è accolto un migrante, si individui una famiglia che lo faccia sentire accolto e lo introduca nella comunità locale. “Con Masamba è facilissimo - proseguono i Bosetti -: parla bene italiano, sa farsi voler bene, è qui solo da inizio aprile, ma ormai lo conoscono tutti in parrocchia e oratorio”. La proposta è arrivata dal coadiutore, don Claudio Silvetti, che lo ospita a casa propria. “Abbiamo accettato subito - ricordano i coniugi -: siamo impegnati in parrocchia come volontari e catechisti, potevamo tirarci indietro?”. Essere una famiglia tutor significa ospitare il giovane un paio di volte la settimana a cena, dargli una mano nelle faccende quotidiane, essere un punto d’appoggio pratico e morale, condividere la sua vita. Un’esperienza, ora, che tanti altri potranno replicare.