Il primario Giampaolo Viganò ci presenta il reparto di eccellenza per la cura di ‘AIDS’ ed ‘Epatite C’.
Un’esperienza maturata nel tempo (quando non c’erano molti farmaci) e sul campo (anche in Africa a sostegno degli ‘ultimi’). Il reparto di ‘malattie infettive’ dell’Ospedale di Legnano è ormai un’eccellenza conosciuta ed apprezzata per l’importante lavoro svolto dal primario Giampaolo Viganò e dal suo staff (4 medici; 12 infermieri e 8 operatori per il reparto, 3 infermieri e un operatore per l’ambulatorio di Macroattività Ambulatoriale Complessa). Il reparto è tutto ‘isolabile’ e ha sei stanze dedicate con ricambio d’aria 12 volte l’ora, oltre a sistemi di pressione negativa e positiva. “Un tempo vi erano degenze molto lunghe e spesso le speranze di vita dei pazienti erano molto limitate - ci racconta il primario - ora tutto è cambiato e il nostro stesso lavoro si è adeguato alle nuove esigenze”. Partiamo da uno dei ‘mali’ che per anni piani di comunicazione hanno cercato di ridurre e debellare: l’AIDS. “Se un tempo l’attenzione dei media e delle istituzioni era massima, ora quasi nemmeno se ne parla - spiega Viganò - se uno è sieropositivo è lui stesso conscio dei rischi, ma la banalizzazione dei rapporti sessuali, soprattutto tra i giovani, ha provocato una risalita del numero dei malati. Spesso inconsapevoli. Le diagnosi spesso avvengono perchè i pazienti vengono in Ospedale per altre problematiche (cefalee o polmonari) gravi, che in realtà scaturiscono dal virus. Ogni mese tra i 2 e 3 giovani tra i 18 ed i 25 anni scoprono di avere il virus dell’AIDS, quasi con sorpresa. Servirebbe ritornare nelle scuole a fare progetti di formazione”. L’attenzione del dottor Viganò e dei suoi collaboratori, sempre reperibili H24 su tutta l’Azienda, è massima: “Tanti pensano e ritengono che il nostro reparto sia solo per rischi di Ebola o Zika, in reatà quasi impossibili da noi, ma in realta sviluppiamo un servizio per AIDS, Epatite e altre malattie particolari. Grazie alla collaborazione di tutti, ogni giorno apriamo alle 7 per accogliere gli oltre 700 pazienti che abbiamo in carico e seguiamo - spiega - il nostro obiettivo è monitorarli passo a passo ma lasciandogli vivere una vita normale. Vengono, passiamo loro i medicinali (che ormai garantiscono una vita quasi normale) e poi sono liberi di tornare in famiglia o al lavoro. Se qualcuno non segue la terapia, ci allertiamo per cercare di capire cosa è successo. Grazie alla preziosa collaborazione con la Farmacia aziendale riusciamo, dati regionali alla mano, a somministrare le migliori cure al ‘prezzo’ pià basso”. In tanti si preoccupano per l’arrivo di molti migranti in fuga dai propri Paesi. Ci sono reali rischi? “Assolutamente no - spiega - tubercolosi, scabbia e pidocchi non sono portati dai migranti, quanto piuttosto dal contesto di disagio sociale delle persone, siano esse italiane o stranieri. Piuttosto che allarmarsi per loro, che se fanno viaggi così impegnativi sono generalmente in buono stato di salute, occorrerebbe cercare di eliminare situazione di degrado e disagio sociale per italiani e stranieri”. Tra i pazienti curati, molti sono immunodepressi, “perchè se aumenta l’aspettativa di vita e la possibilità di fare interventi invasivi ad ogni età, il rischio poi di dover ricorrere a terapie antibiotiche forti è necessario”. Ultima ‘chiusura’, una riflessione sul dibattito se vaccinare o meno i bambini. “E’ un problema di salute collettiva e non individuale per le Nazioni evolute - spiega - chi non vuole vaccinarsi lo fa perchè ritiene egoisticamente che, se tutti gli altri sono vaccinati, la malattia non mi tocca. Vero, però questo dovrebbe valere solo per chi non può vaccinarsi: bambini in cura chemioterapica o con particolari patologie. Se la percentuale di vaccinati scende invece sotto il 90% c’è il rischio concreto del ritorno di malattie considerate scomparse”.