L’impegno di Caritas per assistere bambini e famiglie disperate in cerca di un futuro di pace in Europa.
Adrian è un ragazzo siriano, lo abbiamo incontrato a un distributore di benzina a Polikastro. “Ho visto sparire la mia città, la scuola, gli amici e parte della mia grande famiglia. Non potevo più restare ad Aleppo, le bombe cadevano sulle case della gente... Non si sa quando potremo proseguire il viaggio... fa molto freddo, intanto, sogniamo il futuro”. Adrian è solo uno dei tanti volti di cui sono ancora pieni gli occhi e il cuore di Sergio Malacrida, responsabile Est Europa e Asia di Caritas Ambrosiana, che, insieme ad Alessandro Comino, responsabile della Comunicazione, e a Silvia Maraone, collega di Ipsia Acli, ha compiuto un viaggio nei luoghi percorsi dalla rotta balcanica dei migranti, nei primi giorni di febbraio. 3800 km in sei giorni per incontrare i colleghi della rete Caritas e documentare e testimoniare ciò che hanno vissuto. Un tema complesso e in continua evoluzione quello del fenomeno migratorio, l’esodo più grande dalla Seconda Guerra Mondiale, causato da diversi fattori, come conflitti armati, cambiamenti climatici, povertà, che nel 2015 ha portato circa 1 milione di persone a raggiungere via mare, in condizioni disperate, la Grecia, Lampedusa o, attraverso la piccolissima rotta spagnola, un’Europa impreparata a gestire quest’emergenza. “Abbiamo percorso un viaggio a ritroso, Macedonia, Serbia e Croazia, incontrando le storie di tantissimi migranti nei centri di transito, in cui Caritas è presente per sostenere i profughi nell’accoglienza e nell’aiuto”. Arrivano sfiniti, anziani, disabili, donne incinte, bambini... si calcola che l’anno scorso si siano persi, nelle tratte, qualcosa come 10.000 bambini. Nei centri di transito, dove c’è chi attende ore in fila per la pratica della richiesta d’asilo, chi cambia il pannolino ai bambini nel fango, chi arriva senza scarpe, in condizioni igieniche terribili, fa freddo e, per scaldarsi, si accendono fuochi con le sterpaglie, un po’ di legna, anche plastica, se capita. Siriani, iracheni, afghani... ma anche di altre etnie. In barba al diritto, alle loro singole storie e perfino al diritto internazionale, la decisione se lasciarti entrare alla frontiera successiva è affidata all’arbitrio di un poliziotto. Per fortuna ci sono le organizzazioni umanitarie, come Caritas, che, tra i tendoni UNHCR, è impegnata a distribuire cibo, thè caldo (ai profughi viene solamente fornito un sacchetto con scatolette, un po’ di pane e un frutto), kit igienici, assistenza sanitaria, grazie agli operatori e ai volontari. Per proseguire devi comprare un biglietto e puoi scegliere tra treno, taxi o bus (esiste addirittura un sito e un’app, refugeeinfo.eu, con i costi di ogni spostamento). Manca un intervento coordinato e bisogna prestare molta attenzione ai trafficanti di uomini. Tutti hanno fretta di salire al nord e arrivare in Germania. “La rotta dei Balcani così come l’abbiamo vista noi poche settimane fa non esiste più, sono state chiuse le frontiere e la gente si sta assiepando in Grecia”. Sergio Malacrida invita a riflettere: “Non dobbiamo pensare che tutto si risolva mettendo un muro, un confine. Se si crea un muro, poi se ne creeranno altri: i muri sono fisici e culturali. E’ tempo di approfondire, di non restare in silenzio, di far sentire la nostra voce. Iniziamo dai nostri comportamenti a diffondere una cultura della fratellanza e della solidarietà”. (foto gentilmente concesse da Caritas Ambrosiana)