Nell’ultimo anno lo Stato Islamico ha conquistato un territorio con la stessa estensione della Gran Bretagna: la presa di Ramadi in Iraq e soprattutto quella di Palmira e delle sue rovine, patrimonio mondiale dell’umanità, hanno ridestato l’interesse e la preoccupazione dell’Occidente nei confronti del Califfato. Come siamo arrivati a ciò? Com’è diverso questo fenomeno dai precedenti? Come si finanzia l’ISIS? Come comunica? Come sta procedendo la guerra all’ISIS? Per rispondere a tutte queste domande, nella sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera a Milano, tre esperti in materia di politiche internazionali in Medio Oriente hanno cercato di delineare e tracciare un quadro chiaro e semplificato della situazione attuale, con un occhio rivolto alla nascita del “Daesh” e alle motivazioni che hanno portato i suoi tagliagole a un tale successo. A tal proposito, Lorenzo Cremonesi, corrispondente del giornale di via Solferino che ha vissuto in prima persona la guerra al terrore dal 2002 al 2005, ha parlato di “implosione” di Siria e Iraq. Un ISIS <> ha piantato le sue radici nel malcontento sunnita in entrambi i Paesi. Sull’onda lunga delle primavere arabe questa componente etnica, minoritaria in Iraq (20% della popolazione), predominante in Siria (70%), ha potuto rialzare la testa, contrastando le milizie sciite, ormai indebolite dopo la partenza degli americani dal calderone iracheno e ribellandosi all’oppressione alawita – un’altra etnia dell’islam – nel Paese di Assad. Il risultato è un tutti-contro-tutti che infiamma il Medio Oriente per l’egemonia della regione: l’Iran, appoggiato velatamente da Mosca, sostiene la fazione alawita, mentre l’Arabia Saudita osserva favorevolmente i successi sunniti. Approfittando dell’instabilità politica, il Califfato ha rapidamente allargato le sue schiere e guadagnato consenso.
Arturo Varvelli, ricercatore dell’ISPI, l’Istituto Italiano di Politica Internazionale, ha invece sottolineato le differenze fra l’ISIS e i suoi predecessori. Lo Stato Islamico non è una pura e semplice organizzazione terroristica come Al-Qaeda, nonostante l’obiettivo di un grande stato musulmano sia comune ai due movimenti. Due diversi metodi di azione – e anche due diverse concezioni della violenza – fanno sì che il primo si opponga soprattutto al “takfir”, l’apostata musulmano che ne contrasta l’espansione, prima che al “crociato” occidentale. Formazione politica in tutto e per tutto, il Daesh di Al-Baghdadi si ispira all’ultimo califfo dell’Impero Ottomano, rifiutando la democrazia dello stato moderno. Con un budget stimato a 2 miliardi di dollari (il 60% dei giacimenti petroliferi siriani sarebbe in mano ai tagliagole), l’ISIS ha potuto permettersi l’apertura di un secondo fronte in Libia, dove da settimane i “foreign fighters” fanno parlare di sè in tutti gli Stati occidentali affacciati sul Mediterraneo.
Paolo Magri, il direttore dell’ISPI, si è concentrato sull’incredibile progresso tecnologico di un terrorismo 2.0 che ormai è in grado di monopolizzare la comunicazione di un’intera area del Medio Oriente, utilizza i social network per reclutare nuovi miliziani, invia brochure alle famiglie di potenziali sostenitori esaltando l’ordine e la pulizia che lo Stato Islamico saprebbe garantire, e pubblica magazine ed e-book per attirare su di sè l’attenzione globale.
Secondo i dati ufficiali, l’ISIS avrebbe chiamato alle armi 20.000 – 30.000 uomini, di cui 12.000 (4.000 europei) foreign fighters. I 4.000 raid aerei condotti dalle forze americane in un anno avrebbero già ucciso 8.000 jihadisti. Ma attualmente la coalizione di 63 Stati - di cui 43 attivi militarmente - che contrasta lo Stato Islamico dà troppa fiducia ai 300.000 soldati regolari dei Paesi mediorientali che ogni giorno non fanno che arretrare di fronte alle bandiere nere.
Secondo Cremonesi infatti le forze del Califfato sono molto più numerose e affrontano un esercito disgregato e corrotto. Non c’è da stupirsi che a Ramadi 4.000 uomini siano fuggiti di fronte a 300 tagliagole. Serve un intervento sul campo che stabilizzi la situazione – sia in Siria e in Iraq sia in Libia - e permetta un dialogo con le forze sunnite non ancora inglobate dall’ISIS. La conferenza di Parigi del 2 giugno vedrà le grandi potenze riunirsi intorno a un tavolo per decidere il da farsi. Intanto il mondo musulmano sta vivendo una crisi senza precedenti, e il tempo a disposizione sta scadendo.