Libertà. Di espressione, di opinione, di pensiero. Mai come in questi giorni tali parole sono sulla bocca di tutti. A 10 giorni dall’attentato che ha sconvolto la Francia e l’intero mondo occidentale, il settimanale che pressoché nessuno leggeva e tantomeno conosceva ha venduto 3 milioni di copie nel giro di poche ore. Ovunque, anche in Italia, le edicole sono state prese d’assalto al punto da costringere il giornale a una ristampa nei giorni seguenti. Un successo impensabile, per una redazione che sopravviveva con 30.000 fedelissimi lettori ogni settimana. La scritta Je suis Charlie è dappertutto: Parigi è tappezzata di manifesti, scritte sui muri, disegni sui marciapiedi. La gente comune rattoppa i vestiti con le famose tre parole. Le bandiere sono ancora a mezz’asta. Matite e cartelli sono ancora lì, in difesa di una libertà di espressione che caratterizza la Repubblica francese fin dalla Rivoluzione. Ma qual è il limite di questo potere che ha risvegliato l’orgoglio nazionale transalpino negli ultimi giorni? Analizzando le vignette e i disegni di Charlie Hebdo, si può affermare con certezza che una satira del genere nel nostro paese non potrebbe mai essere contemplata. Gli schizzi fin troppo eloquenti e molto provocanti in materia sessuale, l’attacco diretto alle autorità politiche e religiose fanno impallidire ogni tipo di “satira” nostrana. Crozza e amici in confronto sono agnellini. Certo, il cittadino comune che trova offensivo tutto quanto può prendersi la libertà – sempre lì si torna – di non andare in edicola. Ma il rispetto è un’altra cosa. E ciascuno è tenuto a mostrarlo. Charlie Hebdo aveva già avuto guai con lo Stato negli anni passati. Facilmente immaginabile. Evidentemente, in un paese laico come la Francia e credo in molti altri paesi di Europa, la libertà di espressione non conosce confini. E in un certo senso, è giusto così. E ciascuno può pensare quello che vuole. Ecco perché anche io ho deciso di partecipare alla manifestazione, la più importante della storia transalpina. Perché una matita potrà offendere e rovinare, ma comunque mai uccidere qualcuno. Io sono Charlie non per quello che scrive, ma per quello che rappresenta. Lo scorso 11 gennaio, due milioni di persone hanno invaso le strade di Parigi per protestare contro la barbarie dei terroristi e promuovere una circolazione di idee senza vincoli o barriere. Francesi di tutte le età hanno voluto ricordare le vittime di una cecità malata determinata da un’erronea interpretazione della religione. Un lungo percorso, da place de la République a place de la Nation. Nomi che non sono stati scelti a caso. Un serpentone di Charlie in marcia, tutti avvolti in un silenzio irreale interrotto da accorati accenni di marsigliese e corse dietro il tricolore. Quella bandiera che unisce tutti e che è in grado di richiamare i suoi figli all’appello anche nel 2015. La Francia aveva sofferto, ma si era riscoperta più forte e più unita. Peccato che debbano sempre essere le stragi a riconfermare che oltre a liberi, siamo anche tutti uguali e fratelli. Liberté, égalité, fraternité. Già. E’ la Francia.
Si ringrazia per le foto Davide Cimino.