Maltempo: il Po in golena arriva alle cascine: “L’argine ci protegge, ma fino a quando?”. Il racconto degli agricoltori che vivono lungo il fiume. La situazione anche del Ticino.
In piedi sull’argine Danilo Barbieri, 73 anni, agricoltore alla frazione Mezzana Casati di San Rocco al Porto (Lodi), da ieri guarda il Po che oggi ha invaso la golena: “Fra Lodi e Piacenza saranno andati sotto almeno 600 ettari di campi”. La sua cascina è proprio lì, fra l’argine maestro e quello secondario, in quella che viene chiamata isola San Sisto perché racchiusa fra la riva del Po e la strada. Per Barbieri non è la prima piena e non è neppure la peggiore: “Avevo 10 anni nel 1951 quando ci hanno sgomberato sui trattori perché il fiume aveva sfondato. Era la piena che si è poi vista nel film di Peppone e Don Camillo con le scene della gente che carica tutto sui carri per sfuggire all’acqua e don Camillo che resiste asserragliato nel campanile della chiesa. Per noi fu la stessa cosa. La paura era negli occhi dei miei genitori e delle altre persone”. Adesso che di anni ne ha 73, l'anziano agricoltore guarda ancora il fiume che – secondo le analisi della Coldiretti Lombardia - in tre giorni è salito di oltre 3 metri al Ponte della Becca a Pavia: “Ora – dice Barbieri - aspettiamo l’acqua deve venire giù dal lago Maggiore” dove il livello ha già sfondato i 300 centimetri a Sesto Calende. Coldiretti Lombardia ha mobilitato i propri tecnici per monitorare la situazione del fiume e delle cascine lungo il Po fra le province di Lodi e Piacenza, quella del lago Maggiore e del lago di Como (che a Malgrate sta sfiorando i 119 centimetri di altezza) e dei principali fiumi dall’Adda al Ticino, quest’ultimo in 72 ore a Oleggio è salito da 193 a 271 centimetri. Fra San Rocco al Porto e Mezzana Casati – spiega la Coldiretti Lombardia – sono almeno 5 le cascine presenti a ridosso del Po, fra i due argini, mentre più a monte c’è la località Isolone con gli argini “mobili” da aprire nel caso la pressione dell’acqua diventasse insostenibile e fosse necessario dare sfogo al fiume per proteggere i centri abitati e le infrastrutture. Anche perché fra le province di Lodi e di Piacenza – analizza la Coldiretti – si trovano i principali collegamenti, stradali, autostradali e ferroviari, fra Lombardia e Piacenza. “Il vero problema – conclude Barbieri – è l’isolotto Maggi al centro del fiume che da quando sono state vietate le escavazioni e non viene più ripulito da detriti e ghiaia si è alzato e sta diventando una specie di diga. In caso di piena eccezionale rischiamo che l’acqua prenda così tanta forza che una volta libera arrivi a spazzare via tutto”.