Essere giornalisti, nel mondo moderno. Come da tradizione, ogni anno, il sabato seguente la ricorrenza di Francesco di Sales, l’Arcivescovo di Milano incontra i rappresentanti dei media per un dibattito sull’importanza dell’informazione e sulla categoria. Nell’appuntamento di quest’anno, svoltosi nella suggestiva realtà dell’Istituto dei Ciechi di Milano, ospite d’eccezione era Domenico Quirico, inviato de ‘La Stampa’ in Siria.
“Distinguere il vero dal falso testimone rappresenta una delle questioni decisive della vita – ha spiegato sua Eminenza Card. Angelo Scola - Non esistono ricette o istruzioni per l’uso, tutti corriamo insieme il rischio. Il testimone è autentico quando il suo dire si accorda a ciò che vive. Abbiamo bisogno di buoni comunicatori abili non tecnicamente, ma nel raccontare l'umano di cui siamo diventati così poveri perché non siamo più capaci di ascoltarci”.
Per Scola compito dei giornalisti è “facilitare l'amicizia civica, la necessità che si stia in relazione con una capacità di ascolto profondo” perché “la società plurale non può essere il ring di una battaglia di wrestling. Bisogna deciderci ad ascoltarci diversamente, a lasciarci fecondare dall’altro”. Dovere del giornalista è di “narrare, di raccontare. Il compito vostro - ha ancora Scola detto ai giornalisti presenti - è quello di facilitare l’amicizia civica, la necessità di stare in relazione con una capacità di ascolto profondo in vista del riconoscimento”.
La verità “è complessa e il nostro limite nel coglierla è forte, spesso la intuiamo per frammenti”, ma essa “ci viene incontro come un abbraccio, e quindi domanda il nostro coinvolgimento”. Per Scola, che ha ripreso una espressione di Quirico la conoscenza “o è commossa o rimane astratta, non si può conoscere senza cuore”. Secondo il Cardinale oggi però “c’è un modo di guardare alla realtà e di giudicarla che, non passando più da questa autoesposizione, finisce per provocare conseguenze non positive per la società”.
Da qui l’invito di Scola ai giornalisti a evitare “l’attitudine negativa alla dietrologia che non ha nulla a che fare con la necessità di trasparenza e con il compito morale del giornalista di indagare”.
Da curare come un male sono pure il giudizio temerario e la maldicenza che possono compromettere la dignità delle persone. “Ognuno - ha detto il cardinale - è chiamato a verificare la veridicità della testimonianza dell’altro. La testimonianza autentica ha un suono riconoscibile. Ad esempio, noi tutti percepiamo che l’uomo bomba non è un martire. Martire è colui che dà il suo sangue per amore senza coinvolgere il sangue di innocenti. C’è una bella differenza, e questa percezione ce l’abbiamo”.
Molto significativa e toccante la testimonianza di Domenico Quirico: “La mia esperienza giornalistica può trovare spunto da un servizio degli anni ’60 del più grande fotografo attuale, Steve McCurry, che raccontò, durante la guerra di Cipro, di essersi trovato di fronte a una ragazza morta in una pozza di sangue. Scattò la foto e poi iniziò a piangere: l’essenza del giornalista sta nella commozione di fronte a un fatto. Questo gli dà la titolarità di raccontare le storie degli altri. Di fronte alla domanda: ‘Tu dove eri?’, il giornalista non può non dire ‘ero lì con te’, altrimenti lo fa un testimone non credibile. Ogni giornalista ha una responsabilità morale con il mondo raccontato – continua il corrispondente de ‘La Stampa’ – perché le sue parole hanno e devono avere conseguenze sulle persone raccontate. Putroppo però, spesso molto spesso, nel nostro mondo vi sono troppi cialtroni che fanno solo danni. Spesso invece vi è un peccato di omissione: quando non si riesce a creare azione dal proprio racconto. Come in Siria. Lì non si è riusciti a smuovere l’opinione pubblica per fermare il massacro. Nel giornalismo il vero reportage perfetto è quello che non occorre essere firmato”.
L’intesa giornata, che ha visto la partecipazione di molti giornalisti di spessore e la presenza di pressoché tutte le testate nazionali e lombarde, si è conclusa con una suggestiva esperienza di ‘apertivo al buio’ presso l’Istituto dei Ciechi. Un modo per comprendere, ancor di più se ve ne fosse bisogno, come la nostra realtà sia ben oltre quello che normalmente vediamo.