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Storie, Cuggiono

La 'Liberazione' e don Albeni

(VIDEO) Tutti i paesi hanno le proprie ricorrenze, spesso dense di retorica, ma non deve diventare il caso del 25 aprile. Oggi, in un’epoca di incertezza economica che porta con sé tensioni sociali e chiusura verso chi è recepito come diverso, i valori espressi dalla Resistenza italiana (importantissimi anche per la stesura della Carta costituzionale) rappresentano un faro che, al di là degli schieramenti politici, può guidarci. Pensiero espresso, durante la commemorazione, dal Sindaco di Cuggiono Flavio Polloni e da un rappresentante della Cgil, entrambi determinati nel ricordare che, in un momento critico, la difesa della libertà nei suoi molteplici aspetti, la solidarietà e l’accettare le diversità culturali non possono essere solo parole vuote, da citare in una manifestazione e lasciar chiuse in un cassetto: a prescindere dagli eccessi della guerra civile che sconvolse l’Italia durante la seconda guerra mondiale, queste idee non devono essere dimenticate. Anche le lettere, piene di consapevolezza, scritte da partigiani in procinto di subire la condanna a morte e lette da alcuni studenti della scuola elementare, provano che una nuova maturità democratica stava nascendo. Gli stessi ideali hanno segnato la vita di un uomo centrale nella vita cuggionese e che, proprio per questo, è stato ricordato durante la celebrazione: don Giuseppe Albeni. Nato a Busto Arsizio nel 1913, ordinato sacerdote dal Cardinale Schuster nel 1938, svolge il ruolo di assistente all’oratorio maschile di Cuggiono, caratterizzandosi per l’impegno profuso in ogni attività che coinvolgesse i giovani. Allo scoppio della guerra, le contraddizioni e la natura brutale del fascismo non possono più essere nascoste: dopo l’8 settembre 1943, don Albeni organizza diversi gruppi di giovani che combatteranno contro i nazi- fascisti sui monti dell’Alto Verbano. Tra questi vi è Giovanni Marcora, futuro ministro democristiano e all’epoca aderente all’Azione Cattolica, associazione riconosciuta dal fascismo dopo i Patti Lateranensi, ma che si rivela poi un’arma a doppio taglio: la chiesa si dimostra infatti capace di far crescere una nuova classe dirigente pronta a prendere le redini nel secondo dopoguerra. L’attività di don Giuseppe non passa inosservata: il sacerdote, impegnato anche nell’accogliere i ricercati e nel cercare di favorire il loro espatrio in Svizzera, subisce diverse perquisizioni e, dopo la pubblica difesa di 10 partigiani condannati alla fucilazioni, è ormai troppo compromesso, tanto da dover vivere in clandestinità, senza rinunciare però al proprio ruolo di vero e proprio coordinatore della Resistenza locale. Diventato nel 1955 parroco di Albizzate, muore nel 1961 e spetta a noi, come spesso si dice, far sì che non sia morto invano.

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