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Busto Arsizio

'Il carcere te lo porti dentro'

Tratto da una novella di Cristina Bevilacqua, domenica 30 settembre al Cinema Teatro Lux di Sacconago uno spettacolo per la legalità con la filarmonica Santa Cecilia.

Musica, arte, recitazione ma, soprattutto, legalità. Come ogni anno la Filarmonica Santa Cecilia di Sacconago (Busto Arsizio, Va) organizza, a fine settembre, uno spettacolo in collaborazione con la Comunità Missionarie Laiche di Legnano (associazione composta da donne che vivono un impegno missionario cristiano in Italia e all’estero) e Cam To Me Onlus (organizzazione senza fini di lucro che sostiene progetti della Comunità Missionarie Laiche in Camerun, Cambogia e Perù). L'appuntamento è per domenica 30 settembre, alle ore 20.30, presso il Cinema Teatro Lux di piazza San Donato, 5 a Sacconago di Busto Arsizio. L'ingresso è libero, fino ad esaurimento posti. "Calata la notte, finite le parole. Il carcere te lo porti dentro". Questo il titolo dello spettacolo tratto da una novella di Cristina Bevilacqua e diretto dal Maestro Francesco Carcello. L'evento si presenta quindi, come sempre, come uno spunto di riflessione che la Filarmonica propone al suo pubblico ed è proprio per questo che il sodalizio beneficia del titolo “Onlus”. Così, dopo la manifestazione di due anni fa, che portò il Magistrato Gherardo Colombo, tra le fila della Filarmonica, il gruppo torna sulla tematica della legalità, con un particolare focus sul tema del perdono. “Il mio testo nasce da un’esperienza personale - racconta la Bevilacqua - sono stata docente di lettere per un anno presso la Casa circondariale di Busto, ormai dieci anni fa. E quel mondo me lo porto dentro come una ferita e una risorsa: mi spinge a lavorare bene con i ragazzi a cui insegno ora per prevenire, anziché poi medicare il disagio”. Come consueto, brani musicali e recitazione si alterneranno tra loro per costruire quello che oramai è impossibile definire solo "concerto". In scaletta, tra gli altri: Il cielo in una stanza di Paoli, Dies Irae di Mozart, Toccata in Re Minore di Bach, The Sound of Silence di Simon, Moon River di Mancini e Nessun Dorma di Puccini per un totale di quindici brani. In scena - oltre i quaranta componenti della Filarmonica - Leonardo Colombo, Paola Azzimonti, Marialuisa Rampini e Cristina Ferrè per una regia di Paolo Belloli. Alla voce: Marco Anzini, Marco Mussino Cuccia e Paola Arcadi. Emiliano Mereghetti e Marco Anzini alle chitarre. A rappresentare lo spettacolo su tela, interverranno 5 ragazzi del liceo artistico Paolo Candiani di Busto Arsizio.

LO SPETTACOLO, IN BREVE: “PARLARE DI PERDONO SIGNIFICA PARLARE DI DIALOGO”
Quella che racconterà la Filarmonica è la storia di quattro personaggi, legati tra loro da un episodio delittuoso e da alcuni interrogativi sul tema della giustizia. Che cosa è giusto? Da cosa nasce un crimine? Come si può riparare al male quando è stato inesorabilmente compiuto? Sono le domande del giudice Emanuela Monfalcone, responsabile della condanna inferta a Gianni per usura e riciclaggio di denaro sporco, un reato che ha portato il signor Bianchi, vittima dello strozzino, a scegliere la via del suicidio. Sono questioni aperte, che orientano l’attenzione dello spettatore al tema, qui solo accennato, della giustizia riparativa e della mediazione penale, come percorso giudiziale alternativo ad una logica esclusivamente punitiva. La notte che segue la condanna costituisce lo sfondo, in cui i personaggi vivono i loro drammi interiori: si tratta di quattro punti di vista sulla stessa storia, che è la storia delle vittime, in particolare della vedova Bianchi, dello strozzino, di sua moglie e di un giudice. È la difficoltà comunicativa a segnare il limite delle loro esistenze e a chiudere tutti e quattro in una sorta di carcere interiore. Solo un amore più grande per l’umanità e un profondo desiderio di riconciliarla a sé al di là dei suoi meriti e dei suoi difetti sembra aprire alle luci del mattino e al confronto coraggioso con la verità, che, spezzando il vincolo del silenzio, può rendere più tollerabile un destino dal volto irragionevole. Lo spettacolo è raccontato dalla Bevilacqua: “Ci tengo a sottolineare che la storia che racconto non è una storia vera: trae ispirazione da alcuni racconti e letture che sono rimaste nella mia memoria, ma non riferisce alcuna esperienza individuale. Nasce dall’esigenza di parlare di perdono in una società in cui questa parola vuole dire a volte troppo, a volte nulla. Mi sarebbe piaciuto parlare di mediazione penale. Il tema è solo abbozzato e lasciato ad un approfondimento in altra sede. Mi importa di più dire che un dialogo è necessario e che si deve trovare una forma per parlare, anche laddove qualcosa è rotto e lacerato. Questa convinzione viene non solo da una meditazione antropologica sull’uomo e sulle sue fragilità, ma anche dal mio profondo legame con la fede”. Da qui, Il legame con la missione: “dire di Dio e del suo modo di amare l’uomo infinitamente qualunque sia il suo peccato o la sua condizione. E così penso che anche nella vittima ci sia sempre nostalgia di un legame fraterno spezzato dal reato, che in qualche modo ha bisogno di essere riscattato e non solo punito”. “Mi piace portare alla luce anche alcune considerazioni che ho sentito presentare da magistrati in qualche breve corso per volontari del carcere e che io da docente ho condiviso - continua la scrittrice - ovvero quel senso un po’ di impotenza di fronte a una giustizia che non riesce a ricostruire sempre a pieno, ma ci prova. Si tratta di considerazioni semplici senza grandi pretese. Il mio contatto con il carcere è avvenuto quando avevo 26 anni ed è durato solo un anno. Da allora ci ho meditato e ho pensato che forse parlare di perdono in modo meno televisivo, meno strumentale, più intimo, significa più che altro parlare di dialogo”.

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