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Editoriali

Se l'Italia rinuncia alla Cultura

In momenti di debolezza economica e con prospettive di sviluppo ridotte al lumicino, ogni famiglia, azienda o gruppo tende a puntare sulle eccellenze, le qualità e le professionalità che lo caraterizzano, sperando così di risollevarsi verso sorti migliori. Questo è un semplice dato di fatto che, però, non avviene per il sistema Italia.
E qui nasce infatti il paradosso, come ben ricordato dal 'Corriere della Sera': con una riforma di due anni fa proposta dal ministro per l'istruzione Maria Stella Gelmini, si riducono le ore per l'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole superiori, fino a quasi l'azzeramente negli istituti professionali per il turismo.
La domanda, a noi come pensiamo a tutti voi letteri, appare ovvia: "Ma come? Abbiamo il più grande patrimonio artistico al mondo e, non solo non sappiamo sfruttarlo come leva economica, ma ora nemmeno lo spieghiamo più ai nostri ragazzi?".
Domande a cui ci piacerebbe aver risposta, proprio per cercare di dare una prospettiva di sviluppo e crescita al nostro Paese. Per chi minimamente viaggia in altri Stati, già si rende conto delle differenze di cura, conservazione e valorizzazione delle opere e dei luoghi d'arte. All'esterno, quasi sempre, è disponibile una spiegazione del luogo in più lingue (anche l'italiano), vi sono segnaletiche, siti internet dedicati, servizi di ristoro e conforto annessi. In Italia, alle volte, bisogna attendere le giornate del FAI per sperare di visitare ville, mostre ed esposizioni altrimenti inaccessibili.
Per non parlare poi del portale 'Italia' lanciato dal ministro al turismo Michela Brambilla, costato milioni di euro, e con lacune, spiegazioni errate e servizi non degni di un paese come il nostro.

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