Capita ogni tanto di trovarsi davanti a circostanze che riconfermano – se ce ne fosse ancora bisogno – della maggior lungimiranza dei processi della mente umana rispetto a quelli informatici. La finale Master1000 del torneo di Roma della scorsa domenica – una vittoria netta di Nole Djokovic in due set su Rafael Nadal – parla chiaro in questo senso: è dato che il “computer” – così prosaicamente definito l’elaboratore che stabilisce la gerarchia del ranking mondiale – continua a indicare il campione spagnolo al numero 1 e fermo stabilmente alla seconda posizione l’atleta serbo, quando però le ultime quattro finali ATP (due sul cemento, due sulla terra) se le è aggiudicate la tenacia Nole. Vero, il maiorchino un posto in finale lo conquista sempre, pur con qualche affanno – il match in tre set contro il nostro Paolo Lorenzi, sempre a Roma – ma il paradosso è evidente. Quasi che la razionalità computativa del computer si rifiutasse di dichiarare l’espugnazione del re iberico ai vertici della classifica. Ma una macchina, si sa, è limitata non solo al ragionamento ma anche alla vista. Perché se solo avesse assistito alla profondità delle risposte di Djokovic, all’acutezza di certi angoli sul rovescio di un Nadal che tentava inutilmente di variare il gioco alzando la palla; se solo avesse potuto sorprendersi davanti all’efficacia e alla potenza – nonostante la stanchezza per le oltre tre ore della semifinale con Andy Murray giocata meno di ventiquattr’ore prima – del diritto in top spin allora forse avrebbe trovato qualche dubbio alla sicumera del conteggio elettronico. La lungimiranza – va detto – non è virtù propria nemmeno dei bookmakers, che davano lo spagnolo vincente. Sarebbe però bastato – anche per loro – osservare per qualche minuto il gioco dei due campioni in corso di torneo per prevedere l’ennesima disfatta. Netto 6-3 / 6-4, dunque. Vittoria in due set. Nole attende la prova più succulenta. Conquistare Parigi e… mandare in tilt il “computer”!